Sappiamo benissimo di essere irrimediabilmente malate di Fringe.
Ogni anno celebriamo questo momento nella speranza che qualcuno lenisca il nostro dolore e sistemi quel, come definirlo, finale ammerda che ci ritroviamo.
Sta accadendo per X-Files, ergo la speranza è l’ultima a morire.
Non siamo quel tipo di fan che pensano che le altre serie facciano schifo, no, anzi abbiamo trovato dei telefilm di ottima fattura e ci stanno coinvolgendo molto.
Vorremmo dirvi uguale a Fringe però sarebbe una bugia grossa come una casa.
Stiamo cercando quella magia, quel particolare feeling, ci andiamo molto vicino con Doctor Who e ci andavamo vicino con Person of Interest però è come se mancasse un’ottava, una lettera, un millimetro.
E’ come quando assaggi le crepes per la prima volta in Francia e le trovi fantastiche poi provi a farle tu, sono buone ma ti chiedi che diavolo manchi per renderle così fantastiche.
E se dovessimo spiegare perché questa serie ci è entrata nel cuore… forse non riusciremo a dare totalmente l’idea della sua magia, anche se ci vogliamo provare.
C’era una volta “la crazy house di Boston” potremmo chiamarla così che dite?
In cui un padre e un figlio provano faticosamente a riconciliarsi, il primo sembra tanto dolce e buono e il secondo acido e arido ma le cose non sono proprio così e scopriremo che il vero buono dei due è il secondo…
Un vero buono. Capace di perdonare gravi torti subiti, capace di fare grandi sacrifici solo perché è la cosa più giusta da fare, di sapersi prendere cura delle persone che ama senza prevaricare sul resto, pensando al tutto, forse meno che a se stesso, di una dolcezza disarmante con il padre e con la donna di cui è innamorato perché è una forza della natura e non perché è una bambolina obbediente.
C’è gente che non fa che ripetere quanto ama la propria coppia preferita, il proprio piatto preferito, il proprio film preferito, il proprio libro preferito e sapete cos’è? E’ bellissimo perché, come dice Banana Yoshimoto, le cose che amiamo ci permettono di creare un ponte con gli altri e di conoscere le loro anime. Questa parola, ponte, ci fa venire in mente un’altra cosa ma ecco quello che ci premeva dire che a noi vengono i lacrimoni quando vediamo Walter veder morire suo figlio tra le braccia; ci vengono i lacrimoni quando Peter dice che lo vedeva così grande per tentare di calmare il padre; quando Olivia fa capire a Peter che “il tuo posto è accanto a me”, non dietro o davanti, accanto; quando Peter le dice “se ti guardo negli occhi so che sei tu” ovvero tu l’unica, le altre no.
E soprattutto il nostro cuore viene stritolato quando Peter, una volta che ha scoperto la verità sulle sue origini, ringhia “non sono tuo figlio”, perché gli è appena crollato addosso il mondo. E’ la caduta degli dei, la perdita del suo baricentro, di tutto ciò che con fatica pensava di esser riuscito a costruire negli ultimi anni. La rabbia qui non è solo sacrosanta ma anche naturale. “Non sono di questo mondo, vero?” un dolore talmente grande e terribile che abbiamo temuto che tutto fosse irrimediabilmente finito.
Ma accade di nuovo qualcosa che ci fa sperare. “Vedi, sto tentando di vedere le cose dal tuo punto di vista ma non riesco. Però hai attraversato gli universi due volte per venirmi a salvare. Dovrà pure contare qualcosa, no?”
Ancora una volta il perdono inaspettato, arrivato dopo una dichiarazione d’amore dolcissima, un perdono altrettanto tenero che sembra aver sistemato tutto.
Tuttavia si dovrà andare oltre, in qualcosa di ancora più grande. E anche quel qualcosa più grande ci è rimasto nel cuore. Un messaggio di pace tra universi che è anche un messaggio per il nostro mondo.
“Ci sono milioni di innocenti di là. Con una casa, un lavoro, una famiglia. Debbo credere che sia un’altra via. Qualunque sia la mia parte in tutto questo… devo credere che ci sia un’altra via. C’è sempre speranza, vero?”
“Questa è una guerra che non può essere vinta. Se un lato muore, noi tutti moriamo. Ho creato un ponte per iniziare a sistemare.”
Anche se questo personaggio negherà fino alla fine di essere speciale, dimostrerà con i fatti di esserlo. Lasciando un’impronta indelebile sulle persone, come dice Broyles nella quarta stagione, oppure cambiandole in meglio, ed è di nuovo a causa sua che Elizabeth Bishop, la sua vera madre, trova la forza di confrontarsi con il passato e di perdonare il rapitore di suo figlio. “Ti ho perdonato già molto tempo fa. E se l’ho fatto io può farlo anche Dio. Entrambi non abbiamo visto crescere i nostri figli. Non li abbiamo visti innamorarsi ma so che anche tu vedi Peter in questo ragazzo, aiutiamolo. Lui merita di tornare dalle persone che ama.”
Accanto a lui vi sono altri personaggi che abbiamo amato.
In primis Olivia che, con la sua empatia per le vittime, la sua passione e dedizione per il suo lavoro, la sua voglia di essere donna, le sue fragilità e insicurezze, ci ha colpite nel profondo.
E’ una donna nuova, diversa, fragile e forte, molto attuale. Sa mettersi in gioco.
E ci manca anche lei.
“Al contrario di ciò che pensi, il mio universo non è in guerra con il vostro. E’ iniziato tutto a causa di un uomo che è arrivato qui per salvare un ragazzo e, venticinque anni più tardi, io sono qui per salvare lo stesso ragazzo. Se permetterai che mi uccidano, ci vendicheremo e ci sarà guerra. Ma se mi lasci andare, entrambi gli universi potranno sopravvivere. Ci deve essere un’altra via e ti prometto che la troverò.”
“Se quello che mi dici è vero mi devo arrendere alla speranza. Fa che ne sia valsa la pena”
Come ci manca Walter che non è il buon scienziato pazzo. Non lo è. E’ uomo con le sue eccentricità e le sue follie, un uomo che ha sbagliato, non solo per colpa della malattia che lo ha colpito, facendosi sopraffare dalla propria sete di potere e che ha avuto il coraggio di cambiare grazie all’amore di “suo” figlio.
Insieme ci hanno mostrato come deve essere e cosa può darci la scienza anche se qui, ovviamente, si tratta di scienza di finzione, per usare la reale traduzione di “science fiction”.
Qui è finzione ma una cosa è dannatamente vera sulla scienza che ci viene mostrata.
Può far progredire l’umanità se usata bene, non è il male.
C’è poi una questione molto personale che riguarda il nostro lavoro di scrittrici.
Senza Fringe non avremmo mai scritto la nostra saga “La memoria del tempo”.
Articolo redatto da Silvia Azzaroli e Simona Ingrassia